La sindrome dell'arte
Alberti Davide, Castaneda Dominguez Federico 1F
La sindrome di Stendhal, che trae il nome dall'omonimo artista romantico, indica l'estremo livello di impressione suscitato da un'opera d'arte. Ma non solo: il concetto è estensibile a qualsiasi immagine.
Per comprendere meglio, si effettui un'immersione nel pensiero ottocentesco. Una lotta affiatata e complessa fra due cavalieri che, a colpi di spade, cercano di affermare la perfezione: da un lato, un cavaliere ispirato all'universo greco-romano, che scalfisce col criterio e si para con la ragione; dall'altro, senza sosta, continua a sferrare colpi un guerriero che attacca ove decida il proprio cuore, guidato dalla sua contorta naturalezza.
Si tratta della grande lotta nel pensiero artistico di quegli anni fra il Neoclassicismo, che si rende conto della meraviglia del classico e lo ripropone per contribuire al patrimonio di un periodo passato, e il Romanticismo, che si basa sulla natura, sulle emozioni e sull'amore verso la patria.
Chi, come Marie-Henri Beyle (o Stendhal), si è riconosciuto maggiormente nella seconda corrente, non poteva evitare di ritrovarsi di fronte ad una sensazione di fortissima meraviglia: questa descriveva un vuoto, una commozione e uno stupore incomprensibili nonché una sensazione quasi inedita che, spesso, poteva portare anche al pianto, oltre a vertigini, tachicardia, panico e
allucinazioni. Queste potenti emozioni rappresentano il Romanticismo, così tanto basato sull'enormità e sulla bellezza del mondo circostante e del pensiero umano.
In fondo, il numero di elementi che potrebbero suscitare la sindrome è notevole e indefinito. Probabilmente essa non sorge per qualsiasi cosa, ma per molti oggetti anche comuni, se si riescono ad associare le giuste immagini e i giusti sentimenti, sì.